martedì 3 dicembre 2013

Bisogni educativi normali

Tutti i nostri allievi hanno dei bisogni educativi speciali perchè sono delle persone umane con problemi e difficoltà da affrontare ogni giorno.
Non si può essere sempre l'alunno modello a cui basta una spiegazione per capire, ogni allievo ha bisogno di attenzione, di ascolto.
L'apprendimento è una cosa complessa e ha bisogno di un ambiente che lo accompagni.
Mi sono chiesta se sia possibile immaginare e descrivere come debba essere questo ambiente dal punto di vista fisico ed emotivo.
Innanzitutto uno spazio di relazioni in cui ci sia collaborazione e mutuo aiuto, non competizione.
Poi uno spazio in cui muoversi per fare esperienze che aiutino a capire.
Un luogo in cui riconoscersi perchè contiene tracce di ciò che si è detto e fatto, in cui gli oggetti hanno un posto ma anche la possibilità di essere spostati.
Non una classe ma un living... nel vero senso della parola, un posto dove si 'vive', dove ci si sta con tutti i propri pensieri e tutte le proprie 'paturnie'.
Un posto dove ti senti accolto anche se le tue prestazioni in certi momenti non sono quelle che ci si aspetterebbe.
Un luogo con del tempo da perdere per seguire i propri pensieri e coltivare le proprie emozioni.

Questi sono tutti 'bisogni speciali' se confrontati con ciò che offre la scuola ogni giorno, per tanti tanti anni...
Perchè non farli diventare 'bisogni normali' da offrire a tutti?
L'aula è un non-ambiente, le relazioni che si vivono a scuola spesso sono delle non-relazioni.

La scuola ha dei bisogni speciali e qualcuno dovrebbe occuparsene seriamente, i nostri allievi hanno forse solo bisogni normali.

mercoledì 9 ottobre 2013

Il cambiamento e le Nuove Indicazioni

Stamattina mi sono alzata e ho trovato sul tavolo il nuovo numero di Cooperazione Educativa, la rivista del MCE. Sono una vecchia MCE, fin dagli inizi della mia carriera di insegnante elementare nel 1969, i miei maestri sono stati gli storici protagonisti del Movimento degli anni '70, non sto a fare nomi... Allora ero una maestrina di 19 anni con tanta voglia di imparare e di cambiare la scuola. E l'ho fatto fin dagli inizi, prendendomi dei provvedimenti disciplinari perché avevo dato il voto unico, insegnando a leggere e a scrivere con il metodo globale con il direttore che settimanalmente veniva a controllare i progressi dei miei allievi perché non si fidava e via dicendo... Dietro di me però c'era il Movimento... mi sentivo sicura, ero certa di non sbagliare perché c'erano loro, i grandi. Nutrivo una immensa fiducia nella possibilità di cambiare qualcosa nella scuola che sentivo già allora vecchia e noiosa per i bambini. E allora non mi pesavano le serate passate a ciclostilare schede percettive nella vecchia sede del MCE torinese e i pomeriggi a colorarle invece di andare a spasso con il mio fidanzato (che a volte, mosso da pietà, mi aiutava perfino).
Dopo un po' di anni di allontanamento dal Movimento, ho ripreso la mia militanza con il nuovo gruppo di Torino risorto grazie all'impegno di alcune persone che avevo conosciuto in occasione del Progetto SeT e con cui avevo intrapreso un percorso di aggiornamento e sperimentazione.
Ma ritorniamo a bomba... Stamattina ho aperto la rivista e ho visto che il primo articolo era firmato Cinzia Mion e si intitolava 'Alcune idee da esplicitare. Qualche osservazione sulle Nuove Indicazioni'. Mi ero persa l'intervento della Mion a Torino e quindi ho subito cominciato a leggere...
Alla fine della lettura mi sono detta: 'Ma queste cose noi le dibattiamo da almeno vent'anni... e cerchiamo faticosamente di metterle in pratica da altrettanto tempo. Possibile che siamo sempre ai nastri di partenza?'
Un esempio: il testo 'Discutendo si impara' l'abbiamo letto appena pubblicato e da quello abbiamo estratto gran parte delle nostre modalità di interazione con la classe perché combaciava perfettamente con ciò che leggevamo sui testi di Vygotskij e ci indicava una strada percorribile per dare voce ai nostri allievi, per realizzare quell'apprendistato cognitivo che sta alla base dell'apprendimento.
Cito dall'articolo: 'La differenza con l'apprendistato tradizionale sta nel fatto che quello cognitivo pone l'enfasi sui processi mentali cognitivi e metacognitivi soggiacenti alle procedure attraverso il pensiero a voce alta che il docente mette a disposizione dell'allievo mentre affronta un compito complesso rendendo visibili e imitabili i processi che altrimenti rimarrebbero taciti e nascosti.'
Per me niente di nuovo... nella sostanza, ma mi ha fatto molto piacere leggerlo e soprattutto mi è piaciuto come la Mion sia riuscita a intrecciare tutte le cose importanti focalizzandole su alcuni punti cruciali tra cui la costituzione nella scuola di due comunità che interagiscono continuamente: la comunità di apprendimento formata dall'insegnante e dai suoi allievi e la comunità di pratica formata dagli insegnanti del team, o da un gruppo più allargato, che si occupa di progettare i percorsi di apprendimento, di sperimentarli e validarli attraverso il confronto e la riflessione comune.
Nella classe 'comunità di apprendimento' il lavoro non è mai individuale, anche quando concretamente lo è, perché assume sempre una dimensione sociale nel momento del confronto e dello scambio durante la discussione 'orchestrata' dall'insegnante. Scrive la Mion: 'In tale contesto il ruolo del gruppo è forse più importante di quello del docente, oltre alla funzione dell'operatività laboratoriale. L'interazione all'interno del gruppo costituisce l'attività di supporto più significativa fornita dai compagni ai fini del progresso della zona di sviluppo personale.' E ancora: 'I ragazzi hanno sete di senso, ed è questa la molla, la motivazione, attraverso le quali la scuola deve sostenere la curiosità epistemica e il desiderio di competenza: motivazioni intrinseche di bruneriana memoria.'
E allora, se questo è vero, diventa desolante la visione di molte classi in cui l'insegnante arriva, si siede, guarda i suoi allievi tutti ben seduti in fila perché così li può controllare meglio ed evitare che parlino tra di loro, apre il libro, imitata dagli allievi, e dice: 'Pierino leggi a pagina...'
Eppure questo succede ancora ogni giorno nelle nostre scuole, come ogni volta che dico alle maestre di cambiare la disposizione dei banchi per poter far lavorare gli allievi a gruppi, ne scaturisce uno psicodramma... ma non possiamo, le colleghe... le bidelle... Chi vuole, le cose le fa... anche senza le 'nuove' indicazioni. Certo bisogna aver voglia di studiare, di sperimentare, di confrontarsi con altri, occorre professionalità autentica, non c'entra nemmeno la 'passione' (anche se aiuta), forse è solo voler fare bene il proprio mestiere.

sabato 5 ottobre 2013

Costruiamo la geometria insieme ai bambini

L'esperienza degli ultimi due anni di lavoro sulla formazione degli insegnanti, condotta fianco a fianco con una collega della Casa degli Insegnanti che insegnava nella scuola media, è stata per me decisiva perché mi ha consentito di mettere insieme tante idee e di trovare alcune strade percorribili per insegnare veramente la geometria.


Nel workshop che abbiamo tenuto nel Geogebra Italia Day di ieri, 4 ottobre, abbiamo cercato di sintetizzare il discorso di fondo da cui partire per reimpostare i percorsi didattici relativamente a questa parte della matematica.


Io penso che la geometria sia alla base di tutto, che una buona competenza geometrica serva per capire anche molte altre cose della matematica. Usando il software GeoGebra abbiamo inoltre dei valori aggiunti. Guardate la 'lezione' creata con Educreations su iPad dove proponiamo un uso precoce di geometria e qualche altra cosa...


Ci sono solo dei flash che invitano a riflettere, non percorsi didattici ma suggerimenti su come porsi davanti ai problemi che la realtà ogni giorno ci presenta per trarne i contenuti geometrici in modo naturale e spontaneo... senza fermarsi lì, però!







   

Su GeoGebraTube sono invece disponibili i file GeoGebra, realizzati dalla collega di cui ho parlato prima, che sono stati utilizzati per esemplificare alcuni passaggi chiave sull'uso della simmetria e sulla risoluzione di un problema classico, il problema di Erone.


Il cagnetto http://www.geogebratube.org/material/show/id/50301


Robot traslazione http://www.geogebratube.org/material/show/id/50360


Barchetta simmetria http://www.geogebratube.org/material/show/id/50480


Rombo e quadrato http://www.geogebratube.org/material/show/id/50359


Il pacco (il problema di Erone) http://www.geogebratube.org/material/show/id/50459




Prima dicevo che la geometria è un punto chiave per l'apprendimento della matematica, mentre di solito, soprattutto nella scuola elementare, non viene affatto insegnata. Sto parlando ovviamente della geometria sintetica non di quella analitica, quindi qualche insegnante potrebbe sorprendersi di questa affermazione... Ma purtroppo è così, altrimenti non si spiega come mai i ragazzini arrivino alla scuola media senza avere competenza alcuna rispetto agli enti geometrici di base (punto, retta, piano) e alle relazioni fondamentali come parallelismo e perpendicolarità. In realtà sanno parlare di angoli, di rette parallele, di diagonali.... perché sui libri di testo della scuola elementare trovano le definizioni di tutto... ma dietro quelle parole che servono a definire c'è qualche idea di che cosa significhino quelle parole in ambito geometrico? C'è qualche idea di che cosa sia veramente un ente geometrico, quale ruolo svolga nel nostro modo di pensare e ragionare , e di quale astrazione necessiti per poter essere compreso e diventare  uno strumento per risolvere problemi? Secondo me è molto molto difficile... anche perché un'idea corretta e chiara di come funzioni la geometria non ce l'hanno spesso nemmeno gli insegnanti, mi ci metto anch'io ovviamente e non è un caso che per arrivarci abbia dovuto rimettermi a studiare...




Ecco... se c'è la volontà di studiare e di capire forse si può cominciare a riparlarne e poi magari riprendere tutte le solite attività ed esperienze che già si fanno a scuola per dare loro uno sfondo diverso,  una diversa consapevolezza. Solo se cominciamo da noi, dal cambiare il nostro modo di intendere la matematica in generale, possiamo pensare di cambiare col tempo anche il modo di insegnarla.




Volevo concludere con due parole su GeoGebra. Ho detto che ha dei valori aggiunti rispetto all'uso solo di carta e penna. Gli insegnanti che devono imparare a usare il software sono praticamente obbligati a riprendere in mano i libri per ripescare alcune nozioni che probabilmente nel tempo sono state messe nel cassetto perchè non erano esplicitate fra i contenuti della scuola primaria... e questo non fa mai male, aiuta a costruire quella 'diversa consapevolezza'. Per i bambini è un'occasione per capire che cosa significhi generalizzare e quindi un aiuto alla concettualizzazione: pensiamo alla ricerca degli invarianti che scaturisce dalla semplice manipolazione di un oggetto creato con GeoGebra. Si parte da un disegno e piano piano si fa capire che ciò che conta non sono le linee e i punti che spontaneamente imparano a collegare per ottenere una casetta o anche una figura geometrica come il quadrato, ma le relazioni che li legano, quelle che costituiscono la struttura della figura e la mantengono tale anche dopo trascinamenti e altre 'diavolerie'... e da qui ... si va avanti....

lunedì 11 marzo 2013

Metodi miracolosi

Non so se è solo questione di 'puzza sotto il naso' o una sorta di gelosia, sta di fatto che ogni volta che ricevo e-mail che pubblicizzano materiali didattici, presentati come rimedi miracolosi, per far imparare a leggere e scrivere o a contare, mi arrabbio moltissimo e mi chiedo dove stiamo andando a finire. Perchè questo tipo di cose ha tanta presa sugli insegnanti mentre il metodo di lavoro che propongo io (che non è ovviamente una mia invenzione ma il prodotto di anni anni di lavoro e di sperimentazione didattica nel Nucleo di Ricerca), validato da riconoscimenti internazionali, fondato su presupposti psicologici e su una conoscenza della epistemologia della disciplina e via dicendo, non viene accolto nello stesso modo? La risposta è ovvia: richiede studio e fatica, almeno all'inizio, e la capacità di mettere continuamente in discussione il proprio operato. Nella situazione attuale non è popolare parlare di tutto ciò.
Quanto sono disposti a spendere gli insegnanti 'comuni' per prendere in considerazione i processi cognitivi degli allievi, anzichè i loro prodotti? Che cosa deve ancora essere scritto per convincerli che c'è un solo modo per costruire conoscenze durature?

giovedì 21 febbraio 2013

Costruire il senso del numero

Da alcuni anni propongo nelle scuola un'attività che si intitola 'Che cosa si può contare'. L'obiettivo di questa attività è far mettere in gioco, anche ad allievi molto piccoli, le conoscenze sul numero in tutta la loro complessità. Se si chiede ai bambini di contare un 'oggetto' egli è obbligato a discriminare nell'oggetto stesso ciò che può essere contabile: le ruote di una macchinina, le pieghe di un foglio, le parole o le lettere di una scritta... e così via. Ma mentre in alcune situazioni il conteggio scatta immediatamente perché è l'oggetto stesso ad offrire elementi contabili, in altri casi si pongono dei problemi. Come fare, ad esempio, a 'contare' l'acqua contenuta in una bottiglietta? Per contare intendiamo dire con un numero quanta ce n'è.... La cosa più immediata è usare le mani e contare le manciate ma mentre con la farina questo è realizzabile, con l'acqua no. Bisogna usare degli strumenti per fare parti contabili ad esempio usando dei bicchieri. La risposta quindi sarà del tipo: ci sono 3 bicchieri di acqua... ma difficilmente il numero che si trova è un numero 'esatto'. Confrontare situazioni in cui si opera con grandezze discrete e continue offre l'opportunità di introdurre il numero in contesti ricchi e complessi dove i bambini si pongono problemi di una certa rilevanza e trovano soluzioni originali. La concettualizzazione del numero avviene poco per volta a partire da situazioni come queste in cui ci sono problemi da risolvere. Analizzando le rappresentazioni che i bambini producono durante l'attività si possono ricavare molte informazioni utili per capire a che punto stanno e quindi servono sicuramente di più delle comuni prove di ingresso. Svolgendo questo compito i bambini entrano in contatto con il mondo della misura e con le sue regole e contemporaneamente con un nuovo insieme numerico, quello dei numeri razionali. Su questo ho scritto già diverse cose... quindi rimando ai miei articoli, l'ultimo dei quali è stato pubblicato su Education 2.0 e quindi è accessibile on-line a questo indirizzo http://www.educationduepuntozero.it/didattica-e-apprendimento/costruire-senso-numero-4045338470.shtml Ai bambini, durante l'esperienza, viene chiesto di rappresentare il conteggio in modo che si capisca che cosa hanno contato e come l'hanno contato. I prodotti che realizzano servono da due punti di vista: come base per la discussione, da sviluppare in classe coinvolgendo tutti gli allievi, e come strumento per rilevare le conoscenze degli allievi. L'analisi degli elaborati, condotta dall'insegnante dopo l'attività, è quindi il punto di partenza di un percorso che conduce, attraverso esperienze successive e ripetute, a costruire la competenza sul numero.

La proprietá dissociativa non esiste

Per anni ho portato avanti la battaglia contro la proprietá dissociativa che come ben sanno i matematici non esiste, è un puro artificio didattico, eppure é difficilissimo trovare un testo di scuola primaria che non la riporti e se non c'é gli insegnanti forse non scelgono il testo. Io invece ho sempre fatto il contrario, guardavo se c'era e scartavo il testo. Purtroppo, dovendo alla fine scegliere, penso di aver poi sempre adottato testi che la riportavano... perché in un testo non guardi solo la parte di matematica ma soprattutto la parte delle materie di studio tipo storia e geografia. Oltre tutto nemmeno la formulazione data alla proprietá associativa a mio parere é corretta perché gli stessi testi la formulano più o meno così “Associativa: Sostituendo a due o più numeri la loro somma il risultato non cambia. Es: 12+8+5 è come fare (12+8)+5. La formulazione corretta è invece (12+8)+5=12+(8+5) cosa che ci consente alla fine di 'non usare' le parentesi perché non importa che cosa si addiziona prima. Ma l'obiettivo di questo post non è tanto confutare la proprietà dissociativa (é solo un esempio) quanto piuttosto far riflettere su come certi stereotipi didattici condizionino pesantemente l'apprendimento della matematica creando delle rigidità e delle idee sbagliate che gli allievi si portano poi dietro per anni. Ci sarebbero tanti esempi... Un ambito che mi piacerebbe indagare é quello relativo alla soluzione dei problemi. Non esiste testo che non abbia delle pagine dedicate a questo tema: problemi con dati mancanti, sovrabbondanti, superflui... schemi magici per rappresentare la soluzione dei problemi... ci ritornerò...