Stamattina mi sono alzata e ho trovato sul tavolo il nuovo numero di Cooperazione Educativa, la rivista del MCE. Sono una vecchia MCE, fin dagli inizi della mia carriera di insegnante elementare nel 1969, i miei maestri sono stati gli storici protagonisti del Movimento degli anni '70, non sto a fare nomi... Allora ero una maestrina di 19 anni con tanta voglia di imparare e di cambiare la scuola. E l'ho fatto fin dagli inizi, prendendomi dei provvedimenti disciplinari perché avevo dato il voto unico, insegnando a leggere e a scrivere con il metodo globale con il direttore che settimanalmente veniva a controllare i progressi dei miei allievi perché non si fidava e via dicendo... Dietro di me però c'era il Movimento... mi sentivo sicura, ero certa di non sbagliare perché c'erano loro, i grandi. Nutrivo una immensa fiducia nella possibilità di cambiare qualcosa nella scuola che sentivo già allora vecchia e noiosa per i bambini. E allora non mi pesavano le serate passate a ciclostilare schede percettive nella vecchia sede del MCE torinese e i pomeriggi a colorarle invece di andare a spasso con il mio fidanzato (che a volte, mosso da pietà, mi aiutava perfino).
Dopo un po' di anni di allontanamento dal Movimento, ho ripreso la mia militanza con il nuovo gruppo di Torino risorto grazie all'impegno di alcune persone che avevo conosciuto in occasione del Progetto SeT e con cui avevo intrapreso un percorso di aggiornamento e sperimentazione.
Ma ritorniamo a bomba... Stamattina ho aperto la rivista e ho visto che il primo articolo era firmato Cinzia Mion e si intitolava 'Alcune idee da esplicitare. Qualche osservazione sulle Nuove Indicazioni'. Mi ero persa l'intervento della Mion a Torino e quindi ho subito cominciato a leggere...
Alla fine della lettura mi sono detta: 'Ma queste cose noi le dibattiamo da almeno vent'anni... e cerchiamo faticosamente di metterle in pratica da altrettanto tempo. Possibile che siamo sempre ai nastri di partenza?'
Un esempio: il testo 'Discutendo si impara' l'abbiamo letto appena pubblicato e da quello abbiamo estratto gran parte delle nostre modalità di interazione con la classe perché combaciava perfettamente con ciò che leggevamo sui testi di Vygotskij e ci indicava una strada percorribile per dare voce ai nostri allievi, per realizzare quell'apprendistato cognitivo che sta alla base dell'apprendimento.
Cito dall'articolo: 'La differenza con l'apprendistato tradizionale sta nel fatto che quello cognitivo pone l'enfasi sui processi mentali cognitivi e metacognitivi soggiacenti alle procedure attraverso il
pensiero a voce alta che il docente mette a disposizione dell'allievo mentre affronta un compito complesso rendendo visibili e imitabili i processi che altrimenti rimarrebbero taciti e nascosti.'
Per me niente di nuovo... nella sostanza, ma mi ha fatto molto piacere leggerlo e soprattutto mi è piaciuto come la Mion sia riuscita a intrecciare tutte le cose importanti focalizzandole su alcuni punti cruciali tra cui la costituzione nella scuola di due comunità che interagiscono continuamente: la
comunità di apprendimento formata dall'insegnante e dai suoi allievi e la
comunità di pratica formata dagli insegnanti del team, o da un gruppo più allargato, che si occupa di progettare i percorsi di apprendimento, di sperimentarli e validarli attraverso il confronto e la riflessione comune.
Nella classe 'comunità di apprendimento' il lavoro non è mai individuale, anche quando concretamente lo è, perché assume sempre una dimensione sociale nel momento del confronto e dello scambio durante la discussione 'orchestrata' dall'insegnante. Scrive la Mion: 'In tale contesto il ruolo del gruppo è forse più importante di quello del docente, oltre alla funzione dell'operatività laboratoriale. L'interazione all'interno del gruppo costituisce l'attività di supporto più significativa fornita dai compagni ai fini del progresso della zona di sviluppo personale.' E ancora: 'I ragazzi hanno sete di
senso, ed è questa la molla, la motivazione, attraverso le quali la scuola deve sostenere la curiosità epistemica e il desiderio di competenza: motivazioni intrinseche di bruneriana memoria.'
E allora, se questo è vero, diventa desolante la visione di molte classi in cui l'insegnante arriva, si siede, guarda i suoi allievi tutti ben seduti in fila perché così li può controllare meglio ed evitare che parlino tra di loro, apre il libro, imitata dagli allievi, e dice: 'Pierino leggi a pagina...'
Eppure questo succede ancora ogni giorno nelle nostre scuole, come ogni volta che dico alle maestre di cambiare la disposizione dei banchi per poter far lavorare gli allievi a gruppi, ne scaturisce uno psicodramma... ma non possiamo, le colleghe... le bidelle... Chi vuole, le cose le fa... anche senza le 'nuove' indicazioni. Certo bisogna aver voglia di studiare, di sperimentare, di confrontarsi con altri, occorre professionalità autentica, non c'entra nemmeno la 'passione' (anche se aiuta), forse è solo voler fare bene il proprio mestiere.