martedì 1 dicembre 2015

La matematica senza matematica

Resto ogni giorno più sconcertata da come stia passando nelle scuole un modo di insegnare matematica che non ha niente o poco a che fare con la disciplina stessa.
L'aritmetica identificata con il saper fare i calcoli velocemente con tutti i trucchi del caso, la geometria ridotta a saper dire il nome delle figure e classificarle.
Risolvere e porsi problemi sono alla base dell'apprendimento della matematica ma questo aspetto viene anch'esso ridotto a ricetta facilmente applicabile riducendo questa attività a puro esercizio o all'applicazione di procedure standard che spesso contengono anche grossi errori matematici, tutti antidoti all'incapacità di gestire una didattica che si basi sull'elaborazione e il confronto di strategie personali e all'uso dell'errore come strumento per far riflettere gli allievi e aiutarli a superare gli ostacoli cognitivi ed epistemologici della disciplina.
Complice di tutto ciò (ma gliene si può fare una colpa?) un'editoria ormai pervasiva che raccoglie tutte le esigenze e le difficoltà degli insegnanti per farle diventare fonte di guadagno.
Il processo non è recente ma i media, i social network, l'assenza delle istituzioni sul fronte della formazione, la distanza ormai incolmabile tra ricerca didattica e scuola reale, l'accesso a internet e al mercato online, amplificano tutto ciò a dismisura creando una sorta di scuola parallela in cui non interessano i significati o lo spessore culturale di ciò che si insegna ma solo la risposta corretta ai test.
Nonostante il lavoro dell'Invalsi vada in una direzione totalmente diversa e nonostante i risultati negativi dei nostri allievi sul fronte internazionale, pare che ciò che conta alla fine sia fare contenti maestri e professori imparando a dare sempre la risposta giusta, non importa come ci si arriva per analogia, per fortuna o per ragionamento. La scuola ridotta a quiz... divertimento spacciato per metodo di insegnamento. Tutto ciò è veramente preoccupante pensando al futuro dei nostri allievi che si troveranno sempre più spaesati quando dovranno veramente affrontare la disciplina in tutto il suo spessore.
Che fare? Il primo atto dovrebbe essere una presa di posizione da parte di chi ha l'autorevolezza e la competenza per farlo (Università, Invalsi, Indire...). Ma questo evidentemente non può bastare. Occorre andare alla radice del problema, alla formazione degli insegnanti, perché secondo me è un fatto culturale. È la cultura degli insegnanti che va coltivata: con un bonus di 500 euro o con una formazione obbligatoria a tappeto su tutto il territorio nazionale? Ci sono gruppi di insegnanti che hanno deciso di investire una parte del bonus per autofinanziarsi corsi di aggiornamento che la scuola non riesce più ad offrire. Brave ... ma come ci siamo ridotti?
Sappiamo che soprattutto nella scuola primaria, dove le menti degli allievi vengono in un certo senso forgiate, si ricorre a ogni sorta di strumento reperibile in commercio o in rete per avere materiali sempre nuovi e 'accattivanti' da proporre agli allievi. Dietro queste pratiche c'è la mancanza di sicurezza nell'affrontare la disciplina e dall'altra la necessità di far fronte in qualche modo alle crescenti difficoltà degli allievi in classi sempre più variegate con famiglie sempre più esigenti. Riempire i quaderni di schede o seguire metodi miracolosi che offrono risultati immediati (ma di che tipo?) sembra un ottimo antidoto alla situazione di stress che vivono quotidianamente gli insegnanti.
E se invece ci si occupasse seriamente del problema offrendo agli insegnanti strumenti veri per affrontare le difficoltà e cioè quel minimo di competenza disciplinare e metodologica che consentirebbe di vivere serenamente la matematica a scuola?
E se gli insegnanti imparassero ad ascoltare veramente gli allievi per cogliere dalle loro parole ciò che c'è nelle loro menti e aiutarli a raggiungere le competenze indispensabili per essere cittadini consapevoli?
Il discorso è complesso e nessuno ha delle soluzioni in tasca. Ma chi ha responsabilità nella scuola, i dirigenti, si pongono il problema di verificare la validità delle proposte formative, hanno strumenti per valutare o si basano sulla pubblicità?
L'assenza delle istituzioni culturali, in tutte le sue articolazioni, comincia veramente a pesare....
Fare scuola facendo attenzione a come si formano i concetti matematici nella testa degli allievi può essere inizialmente più faticoso perché costringe ad abbandonare strade battute e quindi destabilizza, obbliga a riprendere in mano i libri di matematica per studiare.... Per fortuna ci sono insegnanti che capiscono e si impegnano per farlo... ancora troppo pochi.

martedì 13 ottobre 2015

Una scuola diversa non solo negli spazi

Sono capitata qui...
http://ischool.startupitalia.eu/38542/education/scuola-ideale-renzo-piano/
Che bell'utopia quella espressa da Renzo Piano. Chissà perchè mi ricorda tanto la mia tesi... "Scuola e territorio" discussa nell'84... tanti bei progetti di scuole realizzati in tutto il mondo raccolti in 400 pagine con l'idea di suggerire un'integrazione tra scuola e comunità locale... ho ancora tutti i progetti che avevo pensato anche per la mia città... tutto ciò mi riconcilia con l'architettura e mi fa sperare in qualche cambiamento almeno per i miei nipotini. Sono tante le voci che ho sentito ultimamente sul fatto di creare ambienti scuola molto diversi da quelli attuali, ma poi, anche scuole nuovissime ripropongono il solito modello caserma con tante aule e tanti corridoi in cui gli insegnanti fanno fatica a organizzare spazi a misura di bambino. E la mia ultima scuola che aveva già negli anni '70 alcune caratteristiche particolari che andavano, se volete, nella direzione descritta da Piano (aule che si affacciavano da un lato sul cortile e dall'altro su un grande spazio comune) sta per essere abbattuta... Ma quel che mi chiedo io: basta avere una scuola diversa per cambiare la didattica? Forse no, ma aiuterebbe tanto...  Ricordo con grande commozione i miei piccoli primini seduti per terra stretti stretti in cerchio nella piccola auletta laboratorio collegata con l'aula grande a discutere di numeri e di chiocciole raccolte in cortile, il nostro orto pieno di verdure bacate... il tavolone comprato con i soldi dei genitori per poter lavorare in cortile vicino all'orto.... chissà che fine ha fatto?
È vero che gli insegnanti si sono sempre aggiustati quando volevano e lo fanno tuttora, ma è anche vero che spesso, pur avendo scuole bellissime, hanno preferito restare chiusi nelle loro aule a fare lezione. Ho letto l'articolo sulla nuova didattica senza materie che ci arriva dalla Finlandia e chissà perchè l'ho subito collegato alla battuta di una insegnante di matematica di scuola superiore incontrata qualche anno fa che alla mia richiesta di far mettere per scritto ai suoi allievi il ragionamento fatto per risolvere un problema mi ha risposto dicendo che non poteva, perchè non insegnava italiano... Se siamo fatti cosí... la strada per l'utopia è ancora molto lunga.

martedì 29 settembre 2015

Vogliamo ancora fare l'insiemistica?

Vorrei spendere due parole sull'insiemistica sollecitata da un post su Facebook.
Il discorso sarebbe lungo e forse lo riprenderò perchè scrivere mi serve sempre anche per chiarire a me stessa le cose che so... o credo di sapere.

I bambini quando arrivano a scuola hanno già un sacco di competenze sui numeri, Karen Fuson ha speso molto tempo a cercare di capire come si evolvessero nel tempo le loro conoscenze e ha costruito dei modelli che mi sembrano molto utili per un'insegnante. Ha fatto un diario di bordo di ciò che facevano e dicevano le sue figliolette Adrienne e Erica rispetto ai numeri da quando avevano poco più di un anno fino a 5-6 anni. Si rifaceva anche lei agli studi di Gelman e Gallistel che sono della fine degli anni '70 (The child's understanding of number è del 1978) seguiti da molti altri (ad es. per citare quelli che ho qui sottomano - grazie Maria!-  Steffe, von Glaserfeld, Richards e Cobb con 'Children Counting Types' sulla costruzione del concetto di unità è dell'83...) e poi tutti i ricercatori delle neuroscienze... la lista sarebbe molto lunga... 
Ciò che mi pare incredibile è come queste ricerche e queste nuove conoscenze su come i bambini apprendono i numeri siano ancora sconosciute alla stragrande maggioranza degli insegnanti. Lo verifico ogni volta che inizio un corso di formazione... nessuno sa che cosa sia successo dopo Piaget... dei 5 principi di conteggio di Gelman e Gallistel non c'è traccia da nessuna parte, ancora stiamo lì a far fare le classificazioni perchè sennò non si arriva ai numeri... sarebbe bene cominciare a farsi delle domande. 
Basta peraltro ascoltare i bambini, chiedere loro che cosa sanno dei numeri, vedere come li usano e quando li usano... stupirete... ho decine di interviste fatte dagli insegnanti alle loro classi. 
Vi consiglio anche un libro che ho visto quest'estate di Francesco Paoli edito da Carocci e dedicato agli insegnanti in formazione "Didattica della matematica: dai tre agli undici anni". Non l'ho ancora letto tutto ma mi sembra che almeno per informare sullo stato attuale delle ricerche sia molto utile. Se lo legge qualcun altro ne possiamo poi discutere.

domenica 27 settembre 2015

500 euro per fare che?


Nessuno mette più in dubbio che gli insegnanti abbiano bisogno di riappropriarsi della cultura e abbiano, per farlo, bisogno di soldi. Ma i 500 euro che il governo ha decretato, vanno in questa direzione e possono risolvere qualche problema? Dipende…

Personalmente non penso che se avessi 500 euro in tasca in questo momento darei la priorità della cultura… mi servirebbero sicuramente per altro. Essendo pensionata non li riceverò e quindi inutile farci dei pensieri sopra ma, visto che mi occupo di formazione degli insegnanti, ho comunque un mio punto di vista.
Sicuramente la cultura non è qualcosa che si compra come un pacchetto… è qualcosa che si costruisce nel tempo con le nostre pratiche quotidiane, con il nostro stile di vita, con le nostre priorità…
Ho provato quindi ad immaginare che cosa potrebbe cambiare con quei 500 euro per gli insegnanti con cui di solito mi relaziono… sempre dal mio punto di vista.

La prima cosa che mi viene da dire è che se la scuola ha bisogno di cultura è perché attualmente non è più essa stessa un ’baluardo’ della cultura come poteva essere un tempo. Ora l’accesso alla cultura avviene attraverso altre strade e altre pratiche.
Andare a teatro o al cinema, frequentare i musei, come ho già detto, fanno parte dello stile di vita di una persona, se lo stile è diverso, anche con i soldi in mano non si comincia all’oggi al domani a cercare la ‘cultura’.
Mi pare che quest’anno i 500 euro si possano spendere come si vuole perché non occorre una rendicontazione. Quindi penso che finiranno sul conto corrente e entreranno a far parte del budget della famiglia, serviranno a pagare la TARI e la TASI, a compare i libri per i figli, ad acquistare qualche bel vestitino (gli insegnanti devono pur presentarsi a scuola con un certo decoro!). Quindi divisi per 12 sono poco più di 40 euro al mese, un piccolo aumento di stipendio che in ogni caso fa comodo.
Cosa succederà in futuro non riesco ad immaginarlo.
Sarebbe già un successo se qualche insegnante li spendesse, almeno in parte, per comprare libri.

La seconda cosa è la formazione, non la ‘cultura’ generica ma quella necessaria per far andare avanti la scuola, per renderla adeguata ai tempi e agli allievi. Proprio perché me ne occupo da tempo e so quali siano i bisogni reali in tal senso, penso che gli stessi soldi dati alle scuole per creare occasioni di formazione per gli insegnanti avrebbero prodotto risultati migliori e soprattutto risultati ‘monitorabili’. In diverse situazioni in cui opero le scuole fanno fatica a reperire i fondi per pagare gli esperti e per incentivare gli insegnanti che si occupano di questo settore. Formare reti di scuole per raggranellare più soldi è diventata una pratica comune ed è giusto che sia così, perché le risorse vanno allocate bene, non si può più ragionare su progetti scuola per scuola. Ma anche le reti finiscono e i fondi sono sempre più o meno gli stessi o, più frequentemente, meno dell’anno precedente.

La terza cosa riguarda il modo. Non penso che dare soldi ai singoli produca qualche risultato, anche per i motivi che ho detto prima. Aumentare la cultura degli insegnanti è un obiettivo che il governo si deve porre ragionando sul sistema. Se gli insegnanti non sono obbligati ad una formazione continua, che per lo meno li metterebbe in pari con la cultura pedagogica e didattica attuale, che cosa può produrre questo piccolo incentivo? Negli ultimi 30 anni la ricerca ha fatto dei passi avanti notevoli sia per le scoperte nel campo delle neuroscienze, che hanno modificato il modo di guardare al processo di apprendimento, sia per i progressi nella ricerca didattica, che però rimane confinata al livello accademico e non riesce mai a raggiungere in modo significativo la base insegnante.
La mancanza di formazione secondo me produce molti danni che non si possono risolvere mettendo etichette agli allievi che non imparano, cosa che già ha una dubbia utilità nel breve periodo ma sicuramente non genera automaticamente risultati né a breve né a lungo termine. L’unica cosa che generano le etichette è una distorsione dei problemi.
Bisogna dare agli insegnanti strumenti di lavoro, offrire soluzioni e risorse che agiscano sul lungo periodo. La formazione potrebbe andare in questa direzione se non fosse gestita come ora ma fosse inserita in modo strutturale nel sistema educativo.

In una situazione di carenza di risorse, la scelta del governo, dettata unicamente da disegni politici che ognuno di noi non fa fatica ad immaginare, è senza ombra di dubbio uno spreco che non produrrà, secondo me, nessun cambiamento.
Vorrei sbagliarmi… perché ho fiducia negli insegnanti e nel loro senso etico, so che molti danno tempo e risorse personali per potere migliorare il loro modo di insegnare anche senza i 500 euro, ma in una situazione generale così problematica una soluzione individualista non mi sembra il modo giusto per risolvere un problema che investe tutto il sistema dell’istruzione e che quindi andrebbe affrontato come tale.