martedì 29 settembre 2015

Vogliamo ancora fare l'insiemistica?

Vorrei spendere due parole sull'insiemistica sollecitata da un post su Facebook.
Il discorso sarebbe lungo e forse lo riprenderò perchè scrivere mi serve sempre anche per chiarire a me stessa le cose che so... o credo di sapere.

I bambini quando arrivano a scuola hanno già un sacco di competenze sui numeri, Karen Fuson ha speso molto tempo a cercare di capire come si evolvessero nel tempo le loro conoscenze e ha costruito dei modelli che mi sembrano molto utili per un'insegnante. Ha fatto un diario di bordo di ciò che facevano e dicevano le sue figliolette Adrienne e Erica rispetto ai numeri da quando avevano poco più di un anno fino a 5-6 anni. Si rifaceva anche lei agli studi di Gelman e Gallistel che sono della fine degli anni '70 (The child's understanding of number è del 1978) seguiti da molti altri (ad es. per citare quelli che ho qui sottomano - grazie Maria!-  Steffe, von Glaserfeld, Richards e Cobb con 'Children Counting Types' sulla costruzione del concetto di unità è dell'83...) e poi tutti i ricercatori delle neuroscienze... la lista sarebbe molto lunga... 
Ciò che mi pare incredibile è come queste ricerche e queste nuove conoscenze su come i bambini apprendono i numeri siano ancora sconosciute alla stragrande maggioranza degli insegnanti. Lo verifico ogni volta che inizio un corso di formazione... nessuno sa che cosa sia successo dopo Piaget... dei 5 principi di conteggio di Gelman e Gallistel non c'è traccia da nessuna parte, ancora stiamo lì a far fare le classificazioni perchè sennò non si arriva ai numeri... sarebbe bene cominciare a farsi delle domande. 
Basta peraltro ascoltare i bambini, chiedere loro che cosa sanno dei numeri, vedere come li usano e quando li usano... stupirete... ho decine di interviste fatte dagli insegnanti alle loro classi. 
Vi consiglio anche un libro che ho visto quest'estate di Francesco Paoli edito da Carocci e dedicato agli insegnanti in formazione "Didattica della matematica: dai tre agli undici anni". Non l'ho ancora letto tutto ma mi sembra che almeno per informare sullo stato attuale delle ricerche sia molto utile. Se lo legge qualcun altro ne possiamo poi discutere.

domenica 27 settembre 2015

500 euro per fare che?


Nessuno mette più in dubbio che gli insegnanti abbiano bisogno di riappropriarsi della cultura e abbiano, per farlo, bisogno di soldi. Ma i 500 euro che il governo ha decretato, vanno in questa direzione e possono risolvere qualche problema? Dipende…

Personalmente non penso che se avessi 500 euro in tasca in questo momento darei la priorità della cultura… mi servirebbero sicuramente per altro. Essendo pensionata non li riceverò e quindi inutile farci dei pensieri sopra ma, visto che mi occupo di formazione degli insegnanti, ho comunque un mio punto di vista.
Sicuramente la cultura non è qualcosa che si compra come un pacchetto… è qualcosa che si costruisce nel tempo con le nostre pratiche quotidiane, con il nostro stile di vita, con le nostre priorità…
Ho provato quindi ad immaginare che cosa potrebbe cambiare con quei 500 euro per gli insegnanti con cui di solito mi relaziono… sempre dal mio punto di vista.

La prima cosa che mi viene da dire è che se la scuola ha bisogno di cultura è perché attualmente non è più essa stessa un ’baluardo’ della cultura come poteva essere un tempo. Ora l’accesso alla cultura avviene attraverso altre strade e altre pratiche.
Andare a teatro o al cinema, frequentare i musei, come ho già detto, fanno parte dello stile di vita di una persona, se lo stile è diverso, anche con i soldi in mano non si comincia all’oggi al domani a cercare la ‘cultura’.
Mi pare che quest’anno i 500 euro si possano spendere come si vuole perché non occorre una rendicontazione. Quindi penso che finiranno sul conto corrente e entreranno a far parte del budget della famiglia, serviranno a pagare la TARI e la TASI, a compare i libri per i figli, ad acquistare qualche bel vestitino (gli insegnanti devono pur presentarsi a scuola con un certo decoro!). Quindi divisi per 12 sono poco più di 40 euro al mese, un piccolo aumento di stipendio che in ogni caso fa comodo.
Cosa succederà in futuro non riesco ad immaginarlo.
Sarebbe già un successo se qualche insegnante li spendesse, almeno in parte, per comprare libri.

La seconda cosa è la formazione, non la ‘cultura’ generica ma quella necessaria per far andare avanti la scuola, per renderla adeguata ai tempi e agli allievi. Proprio perché me ne occupo da tempo e so quali siano i bisogni reali in tal senso, penso che gli stessi soldi dati alle scuole per creare occasioni di formazione per gli insegnanti avrebbero prodotto risultati migliori e soprattutto risultati ‘monitorabili’. In diverse situazioni in cui opero le scuole fanno fatica a reperire i fondi per pagare gli esperti e per incentivare gli insegnanti che si occupano di questo settore. Formare reti di scuole per raggranellare più soldi è diventata una pratica comune ed è giusto che sia così, perché le risorse vanno allocate bene, non si può più ragionare su progetti scuola per scuola. Ma anche le reti finiscono e i fondi sono sempre più o meno gli stessi o, più frequentemente, meno dell’anno precedente.

La terza cosa riguarda il modo. Non penso che dare soldi ai singoli produca qualche risultato, anche per i motivi che ho detto prima. Aumentare la cultura degli insegnanti è un obiettivo che il governo si deve porre ragionando sul sistema. Se gli insegnanti non sono obbligati ad una formazione continua, che per lo meno li metterebbe in pari con la cultura pedagogica e didattica attuale, che cosa può produrre questo piccolo incentivo? Negli ultimi 30 anni la ricerca ha fatto dei passi avanti notevoli sia per le scoperte nel campo delle neuroscienze, che hanno modificato il modo di guardare al processo di apprendimento, sia per i progressi nella ricerca didattica, che però rimane confinata al livello accademico e non riesce mai a raggiungere in modo significativo la base insegnante.
La mancanza di formazione secondo me produce molti danni che non si possono risolvere mettendo etichette agli allievi che non imparano, cosa che già ha una dubbia utilità nel breve periodo ma sicuramente non genera automaticamente risultati né a breve né a lungo termine. L’unica cosa che generano le etichette è una distorsione dei problemi.
Bisogna dare agli insegnanti strumenti di lavoro, offrire soluzioni e risorse che agiscano sul lungo periodo. La formazione potrebbe andare in questa direzione se non fosse gestita come ora ma fosse inserita in modo strutturale nel sistema educativo.

In una situazione di carenza di risorse, la scelta del governo, dettata unicamente da disegni politici che ognuno di noi non fa fatica ad immaginare, è senza ombra di dubbio uno spreco che non produrrà, secondo me, nessun cambiamento.
Vorrei sbagliarmi… perché ho fiducia negli insegnanti e nel loro senso etico, so che molti danno tempo e risorse personali per potere migliorare il loro modo di insegnare anche senza i 500 euro, ma in una situazione generale così problematica una soluzione individualista non mi sembra il modo giusto per risolvere un problema che investe tutto il sistema dell’istruzione e che quindi andrebbe affrontato come tale.