venerdì 11 maggio 2012

Pascal entra in classe - 2° puntata

La seconda fase del lavoro consiste nella ricostruzione della macchina di Pascal seguendo le istruzioni che egli stesso dà agli allievi attraverso una pergamena. Naturalmente la macchina da ricostruire non è la vera pascalina, ma la zero+1 che prima è stata smontata e messa in una scatola.
(vedi anche post Pascal entra in classe - 1° puntata).


I bambini al lavoro con le istruzioni da seguire passo passo

Un modello di formazione

Come ho già anticipato nei post precedenti il percorso di formazione in cui mi riconosco e che presento quindi alle scuole che mi contattano è faticoso e di lungo periodo. Non credo in formazioni che si basano su ricette didattiche miracolose e subito spendibili. La formazione deve partire innanzitutto da una riflessione sul proprio modo di fare scuola e delle proprie competenze disciplinari. Sono anche convinta che si insegna sulla base di ciò che si è e non solo di ciò che si sa. Già l'accettazione di un percorso di questo tipo ci obbliga ad un confronto con noi stessi, con le nostre idee e le nostre aspettative, sul significato che diamo al nostro lavoro, sul valore che gli attribuiamo nella nostra vita e per la nostra vita.
Credo che la formazione debba essere a carico della scuola e non delegata solo al docente che la conduce nel senso che esige forme organizzative che vanno ad incidere sulla gestione della scuola. Questo si può capire meglio prendendo visione del modello che ho schematizzato in una CMap raggiungibile a questo indirizzo:
http://cmaps.cmappers.net/rid=1KL4Y9Y71-ZNHNGX-2G8F/Modello%20formativo.cmap

giovedì 10 maggio 2012

Pascal entra in classe - 1° puntata

L'anno scorso abbiamo messo a punto nel Nucleo di Ricerca Didattica un'attività sul numero che prevedeva da un lato l'inserimento di elementi di storia della matematica e dall'altro l'uso di uno strumento per contare, la 'zero+1' della ditta Quercetti, che abbiamo ribattezzato 'pascalina' per la somiglianza con la macchina di Pascal.
  

L'attività è stata sperimentata prima in una classe seconda di Cuneo da Donatella Marro e quest'anno in una classe seconda di Agazzano (PC) da Valeria Perotti. L'esperienza di Donatella è stata documentata e presentata ad alcuni convegni, quella di Valeria è inserita nel percorso di formazione che sto realizzando con l'Istituto comprensivo di Pianello.
In questi giorni sto raccogliendo i materiali per pubblicarli mettendo i link in questo blog.
Il primo materiale che metto a disposizione è la storia da cui siamo partiti nella classe di Donatella, la situazione fantastica che farà da sfondo a tutta l'esperienza.

Stereotipi didattici

Quando non si ricevono più sollecitazioni sul piano formativo e culturale, ci si stabilizza su pratiche didattiche consolidate, molto rassicuranti, senza porsi più domande e nascono gli stereotipi didattici che l'editoria fa subito suoi e li fa diventare standard.
Questo è un po' a mio parere ciò che è successo in questi anni in molte scuole. Ci sono sempre le eccezioni, per fortuna, ma come ho già detto io mi baso su ciò che vedo di persona. E mi soffermo sulle criticità... le cose che secondo me vanno bene cerco d'ora in poi di documentarle un po'... per quanto mi consente un blog. Ho cominciato più volte a organizzare tutti i materiali che ho sul computer, frutto delle mie attività con le scuole, ma non è così semplice. Ci proverò ancora...
Riflettendo sulle mie ultime esperienze mi rendo conto di quanto sia difficile per un insegnante mettere in  crisi il proprio modo di lavorare, decidere che qualcosa deve cambiare e non solo per finta.
Chi in questi anni non si è reso conto che i cambiamenti nella società hanno modificato sia il modo di ragionare che di apprendere degli allievi, da quelli della scuola dell'infanzia in poi, è fuori tempo massimo. Non ha più possibilità di recuperare, è bene che si avvii alla pensione (se mai ci arriverà) cercando di essere almeno coerente.
Ma la cosa che mi preoccupa di più è quanto sia difficile per tutti (anche per me lo era) mettersi ad ascoltare gli allievi, capire di che tipo di cultura sono portatori, a cominciare dalle cose è più semplici, dalle attività quotidiane che si fanno a scuola, dentro le quali essi mettono ciò che sanno, ciò che è stato loro trasmesso dalla famiglia e dalle altre 'agenzie educative' (non so come chiamare tutte le occasioni di apprendimento che l'ambiente attuale può offrire ad un bambino), le loro aspettative di conoscenza.
Facendo attenzione a loro, agli allievi non solo in modo teorico perché va di moda dire che 'l'alunno è al centro' ma al centro di che? ...se non lo si sta ad ascoltare, se non gli si dà la possibilità di esprimersi ... e forse nemmeno interessa sapere che cosa pensi veramente.
Il famoso triangolo 'insegnante, allievo, sapere' va ricostruito a partire dalla consapevolezza che tutti e tre i vertici hanno qualcosa di nuovo da dire: gli insegnanti vivono il loro lavoro in modo molto differente da una volta, il precariato e le condizioni di lavoro sono andate peggiorando; gli allievi sono diversi (per me sono sempre stati diversi ad ogni partenza di corso), hanno conoscenze e non conoscenze di partenza diverse che non si ricavano dalle prove di ingresso o dalla definizione di 'prerequisiti'; il sapere non è più lo stesso, non solo per l'evoluzione delle discipline. ma anche e soprattutto perché l'appropriazione del sapere e la produzione di sapere sono molto più diffuse e non più patrimonio unico della scuola o dei docenti.
Prendere atto di questi cambiamenti è necessario ma poi? Il percorso che porta ad una revisione del proprio modo di fare scuola è lungo e faticoso, richiede sforzo e impegno personale che, si sa, non può essere ripagato da nessun fondo di istituto. Per questo è molto più semplice affidarsi agli stereotipi e a ciò che chiedono (o si dice che chiedano) i genitori che dell'insegnamento non sono sicuramente esperti a meno che facciano gli insegnanti e allora forse è ancora peggio.