Cammelli a Barbiana è uno spettacolo teatrale http://www.teatrodilari.it/project/cammelli-a-barbiana/ dedicato all'esperienza di Don Milani che sta girando l'Italia e verrà anche proposto agli ascoltatori di RAI Tre il 26 giugno prossimo. Alcune amiche del MCE che l'hanno visto ne sono rimaste entusiaste e mi hanno contagiata con le loro riflessioni tanto da farmi aprire il blog....
Mi piacerebbe, se qualcuno non lo ha già fatto, provare a ragionare sul presente a partire da quegli stimoli soprattutto sul fatto che quella di Don Milani era una scuola "dura" ma con un obiettivo ben preciso: dare a chi non li aveva gli strumenti per realizzare nella società qualcosa di nuovo. Sono riandata con il pensiero ai miei primi anni di scuola a Nichelino dove la situazione era molto simile per certi versi perché la maggior parte dei genitori dei miei alunni erano semianalfabeti, appena immigrati dal sud e avevano quindi un rispetto per la scuola che stride con ciò che si vede succedere ora nelle relazioni insegnanti-genitori e più in generale scuola-famiglia. Poniamoci allora alcune domande.
La scuola non è più il luogo in cui si fa cultura? Non serve più? O sono gli insegnanti che non sanno più fare il loro mestiere in questa società così frammentata diventata incapace di generare passioni perché tutto è dato, tutto è scontato?
Io sicuramente in quegli anni per molti dei miei genitori ero "depositaria del sapere", avevo quello che loro non avevano e si fidavano di me, anche quando non capivano bene cosa stavo facendo. I bambini venivano volentieri a scuola tanto che due di loro che i genitori avevano cambiato di classe perché la mia scuola era troppo diversa dalle loro aspettative... l'anno successivo sono ritornati. Anche quando timidamente avevo cercato di parlare di "sesso", cosa a quei tempi inconcepibile, semplicemente per rispondere alle domande dei bambini, hanno criticato subito ma poi si sono ricreduti. Nessuno metteva in dubbio l'onestà degli insegnanti, il loro sforzo di fare una scuola vicina alle esigenze dei bambini, la loro passione che poteva a volte generare conflitti ma non impediva di andare avanti, di trovare soluzioni tutti insieme. Ed è la seconda volta che parlo di "passione". Quella era la nostra forza, forse.
Nulla era facile per chi tentava strade diverse ma nonostante questo non cercavamo di omologarci. Ora la paura del confronto con la diversità è talmente tanta che la scuola è diventata il luogo dell'omologazione. So di un collegio docenti che ha votato la scelta di un metodo.. ma si può fare? Anche se la libertà di insegnamento può avere fatto dei danni, vi sembra una cosa accettabile?
Ora si deve fare tutti nello stesso modo, non importa se sia sbagliato, tutti gli allievi devono avere la stessa scuola, non importa la qualità purché la controparte (i genitori) non possa fare dei confronti tra una classe e l'altra (cosa che comunque tutti continuano a fare perché a fare la scuola sono comunque delle persone...).
Ora chi decide come si fa scuola non sono più gli insegnanti è l'apparato perché nessuno si fida più di loro, nemmeno il datore di lavoro... lo stato. Siccome non si fida, deve dare regole, riempire il tempo degli insegnanti di corsi che nulla hanno a che vedere con il loro ruolo istituzionale e servono a mascherare l'incapacità di gestire realmente il sistema-scuola in questa società.
Questa perdita di "potere" degli insegnanti è secondo me un segno della perdita di credibilità generata dal fatto che apparentemente non esiste più il divario che c'era un tempo tra chi insegna e chi usa il servizio. La cultura di base "enciclopedica" degli insegnanti della scuola dell'obbligo è ormai del tutto insufficiente rispetto a quella accessibile a tutti tramite i nuovi mezzi di diffusione.
La cultura disciplinare e pedagogica essendo rimasta quasi la stessa si rivela ogni giorno più inadeguata. Non parlo di casi particolari o isole felici dove sembra che si siano trovate miracolose soluzioni (ma saranno poi tali?) ma di quello c'è nella maggior parte delle situazioni che ho conosciuto. Non è possibile che al giorno d'oggi, quando si fa un corso di aggiornamento, si debba fare attenzione a non alzare troppo il livello, rinunciando a chiamare le cose con il loro nome, perché gli insegnanti altrimenti si spaventano... eppure succede questo.
Una volta se non si sapeva, si studiava, i miei primi anni li ho passati tutti con i libri in mano perché proprio facendo scuola mi sentivo sempre ignorante, non abbastanza preparata, nonostante avessi alunni di pochi anni, perché volevo dare loro la cultura migliore. E questa consapevolezza di non sapere tutto e soprattutto di non sapere una volta per tutte ma di dover continuare a studiare mi è rimasta fino alla fine.
E ancora adesso studio... per poter dare, agli insegnanti che capiscono, che si rendono conto della loro inadeguatezza di fronte alle sfide attuali, il meglio. E che cosa spaventa? Le cose che io ho studiato fin dagli inizi della mia carriera e che incredibilmente ancora oggi nessuno sa (guai ad esempio a parlare di isomorfismo o di classi di equivalenza... che paura!!!).
Tornando a Don Milani devo premettere che le celebrazioni che non portano da nessuna parte non mi piacciono. Accanto alle celebrazioni bisogna mettere in campo delle azioni concrete altrimenti non abbiamo veramente raccolto l'eredità di questo e altri maestri che continuiamo a citare. Anche lui proveniva da una famiglia acculturata e quindi coglieva il divario tra la sua cultura e quelle dei suoi allievi. E allora che ha fatto? Ha messo al servizio dei suoi allievi quella cultura, cercando di far loro entrare in testa le cose che creavano il divario fra loro e gli altri, per restituire a loro il "potere" generato dalla cultura.
Allora perché non raccogliere fino in fondo la sfida del donmilanismo andando contro corrente, andando a cercare l'essenza del suo messaggio con una rilettura di "Lettera a una professoressa" da cui trarre spunti concreti per il cambiamento ma calati nella realtà attuale, non sicuramente più facile di quella in cui Don Milani si è trovato a "combattere" pagandone di persona le conseguenze. Ma lui non è stato un martire, o almeno non ha avuto la consapevolezza di poterlo diventare, è stato uno che si è tirato su le maniche contrastando a modo suo, con le sue capacità e i suoi modi, certamente molto più duri di quelli che osiamo ora mettere in pratica, l'omologazione della scuola pubblica fatta per chi la cultura ce l'aveva già a casa e quindi non aveva bisogno della scuola per costruirsela.
Paradossalmente sono le nuove situazioni di disagio che si vivono nella scuola che dovrebbero ridarci il "potere" (e la passione?) di un tempo cominciando con il rifiutare la catalogazione degli allievi non solo con l'eliminazione dei voti ma soprattutto con l'eliminazione dell'etichetta BES a tutti coloro che non stanno nei tempi della scuola perché manca loro quel retroterra che fa la differenza. Il retroterra oggi però non è solo una generica deprivazione culturale... sono anche altre cose, sono ad esempio le difficoltà economiche generate dalla mancanza di lavoro che toccano tutti indipendentemente dal livello culturale o semplicemente l'instabilità del futuro che non si riesce più a prevedere perché tutto cambia continuamente. Che strumenti ha la scuola e che strumenti hanno gli insegnanti per gestire questa situazione del tutto nuova? Pensiamoci e rileggiamo Don Milani... ma dimentichiamoci di lui quanto prima per entrare nei problemi attuali che sono profondamente diversi. Chi sono oggi i cammelli e qual è la cruna? Fare una scuola "dura" oggi che cosa significa?
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