lunedì 8 ottobre 2018

La casetta: consigli per l'uso



Riporto qui una serie di riflessioni sull'attività della casetta da proporre in classe prima (e volendo già nella scuola dell'infanzia) finalizzata a due obiettivi importanti del curriculum di geometria: la strutturazione dello spazio facendo riempimento al proprio corpo e il riconoscimento delle forme che costituiscono la struttura di un solido simile ad un poliedro.

L'attività è presente fra le attività di Matematica 2001 nella parte relativa al nucleo "Spazio e figure".
Qui trovate anche la mappa con una proposta concreta per organizzare le attività in classe.



"La casetta"  ovvero   "Come gestire il rapporto con gli oggetti esterni"

In prima elementare le attività sullo spazio non possono prescindere dalle problematiche relative alla padronanza dello schema corporeo, ma non bisogna nemmeno pensare che le difficoltà siano risolte tutte in questa classe. Vediamo le cose con ordine.

Già alla scuola materna viene suggerito un lavoro-gioco in cui i bambini si rapportano con una casetta che può essere 'vissuta' perché costruita a loro misura. Ciò permette una relazione oggetto-persona che fa risaltare e rendere espliciti molti più o meno consci concetti di oggettivazione della realtà a partire dal riferimento alle parti del proprio corpo per individuare quelle della casetta che viene quindi, in un certo senso, personificata. Questo processo di trasferimento dei riferimenti spaziali dal corpo agli oggetti continua anche alla scuola primaria in modo particolare per la coppia destra/sinistra. Il problema di distinguere le due parti persiste per molti bambini fin verso gli otto anni. Inizialmente essi hanno un senso della destra e della sinistra per così dire 'locale', collegato con l'uso delle mani, non riconoscono una parte destra e sinistra del loro corpo come parti simmetriche se non facendo riferimento alla zona in cui agisce la mano destra o sinistra, lo si capisce anche dai gesti che fanno. Ad esempio possono indicare una svolta a sinistra con la mano destra e dire che si svolta a destra.

La casetta è un oggetto esterno costruito a misura del bambino che può quindi viverlo sia dall'esterno che dall'interno, ha un suo 'davanti' e quindi su di essa i bambini possono proiettare in primo luogo il proprio 'davanti' e poi tutto il proprio schema corporeo; se vanno dentro la casetta e guardano la porta, cioè il davanti della casetta, e poi dalle finestre laterali fanno uscire le loro braccia, i due schemi combaciano. Anche la casetta ha un davanti, un dietro, una sinistra e una destra, un sopra e un sotto (da non confondere con alto/basso), non rispetto a chi guarda, ma rispetto a se stessa. I cartellini che si possono mettere sul corpo del bambino per traslazione vanno anche a finire sulla casetta, se il bambino si orienta come abbiamo detto prima.

Quando il bambino guarda la casetta da fuori mentalmente deve ricostruire questo trasferimento per ritrovare le sei parti; quindi o assume lo stesso orientamento della casetta o, se si mette di fronte, compie mentalmente una rotazione per collocare destra e sinistra al posto giusto. È la stessa operazione che si deve fare per riconoscere la destra e la sinistra del compagno che sta di fronte. Essendo la casetta un oggetto in cui si può materialmente entrare per fare questo accoppiamento tra le parti del corpo e quelle dell'oggetto, diventa poi più semplice capire la rotazione quando ci si trova all'esterno.

Mentre eseguono questo lavoro i bambini imparano anche a distinguere destra e sinistra su di sé usando vari accorgimenti: la mano con cui operano di solito per scrivere, mangiare ecc. è la destra (se non sono mancini), quindi cominciano mentalmente a fare riferimento a queste azioni per ricordare.

Emergono le forme

L'attività con la casetta, però, non permette solamente di sviluppare il discorso dello schema corporeo e del suo trasferimento sugli oggetti e, d'altra parte, non tutti gli oggetti hanno un orientamento riconoscibile come la casetta. Per comprendere e descrivere la realtà si deve entrare dentro la geometria e cominciare a parlare di forme.

Fin dalla scuola materna, i bambini, nel momento in cui osservano e rappresentano la casetta sono quasi indotti dall’insegnante a fare discorsi di forma perché l'oggetto che hanno davanti è generalmente un poliedro con facce piane: che forma hanno le sei parti della casetta? come faccio a riconoscerle? che caratteristiche hanno? sono uguali fra di loro? Molto probabile quindi che i bambini parlino spontaneamente di rettangoli, triangoli, quadrati... forme di cui conoscono il nome e le caratteristiche percettive più evidenti: queste sono espresse con un linguaggio derivante dal confronto di grandezze (più lungo di, più corto di, più grande di, più piccolo di), dalla presenza di 'punte', dalla linearità dei bordi che possono percorrere con un dito per distinguere le varie parti segnandone i confini visibili. Danno quindi l’impressione di avere già competenze ‘geometriche’.

Il passaggio vero alla geometria però avviene solo quando si collega il piano percettivo con quello concettuale, nel momento in cui si riescono ad astrarre le forme di quadrato, rettangolo... non in quanto 'oggetti concreti' ma in quanto immagini mentali che possano essere condivise da tutti. L'immagine riprodotta nella mente perde la consistenza dell'oggetto ma mantiene la struttura e le relazioni fra le parti, in queste immagini ci sono degli invarianti da astrarre: le proprietà di quadrato, rettangolo ecc. lati uguali e non uguali, angoli retti, simmetrie e non simmetrie...

Gli insegnanti di solito, nel momento in cui gli allievi introducono una terminologia che richiama il confronto di grandezze, indirizzano il discorso verso la misura trascurando gli aspetti geometrici del problema che potrebbero svilupparsi spontaneamente da una semplice riflessione sulle azioni che si compiono per disegnare o per ricostruire la casetta con un cartoncino. I bambini infatti, a fronte di queste richieste, si ingegnano a ‘far combaciare’ parti per incollarle, a 'sovrapporre’ forme ritagliate per farle 'uguali', compiono di fatto dei ‘trasporti rigidi’. Sotto il trasporto rigido c'è l'idea di congruenza che può essere il vero punto di partenza per fare geometria anche nelle prime classi della scuola primaria. Mettere in luce le trasformazioni geometriche incorporate in gesti comuni, non solo le isometrie (simmetria, rotazione, traslazione) ma anche le similitudini, costituisce la base di una importante presa di coscienza.

L'attività con la casetta ci offre il contesto adatto per capire a che punto stanno gli allievi rispetto a molti concetti geometrici, in particolare rispetto a quelle ‘forme’ che accostano ad un ‘nome’ e che ben difficilmente hanno concettualizzato con tutte le loro proprietà.

Potrebbe essere questo il lavoro da sviluppare nella scuola primaria quando si chiede agli allievi di ricostruire la casetta a partire, appunto, dalle forme che la costituiscono. È probabile che mettendo insieme quadrati, rettangoli, triangoli arrivino anche a vederne lo sviluppo piano …. e allora entrino davvero nella geometria.

La casetta disegnata

La rappresentazione con il disegno offre altri spunti interessanti.

Come riprodurre su un piano una forma tridimensionale? Quali problemi devono affrontare i bambini? Quali strumenti concettuali hanno a disposizione per farlo?

A quest’età è difficile che il disegno sia una riproduzione perfetta di ciò che vedono, ammettendo che abbiano gli strumenti per farlo. La richiesta di disegnare la casetta però può essere meno generica se si chiede loro di fare un disegno che faccia capire bene come è fatta. Avendo sviluppato precedentemente il discorso delle forme è possibile che i bambini cerchino delle strategie per far vedere anche ciò che da un unico punto di vista non sarebbe visibile. Un po’ alla Picasso e un po’ per imitazione di immagini viste.

Di solito alcuni disegnano le quattro pareti ribaltate o raggruppate sotto un tetto unico per farle stare tutte, altri le fanno tutte separate senza badare alle congruenze, altri invece tentano già di ‘svilupparle’ sul piano. Dal confronto fra le diverse rappresentazioni nascono molte discussioni e tutti insieme si cerca di trovare un modo chiaro per comunicare come è fatta la casetta in modo che altri possano riprodurla.

I disegni possono anche esser ritagliati e ricostruendo la tridimensionalità ci si accorge degli errori: manca una parte, non c’è il pavimento, la destra non si attacca bene al davanti... nascono le domande e si cercano le soluzioni.

Alla fine i bambini son pronti per produrre una ricetta che consenta di costruire ‘bene’ la casetta.

La casetta con GeoGebra

Il modo più semplice per introdurre GeoGebra con bambini molto piccoli è chiedere loro di fare un disegno. In questo modo con poche istruzioni date dall’insegnante i bambini riescono a fare punti, unirli con segmenti, costruire poligoni e cerchi. Ma usare GeoGebra non è come usare un programma di disegno.

I disegni della casetta fatti con GeoGebra hanno una caratteristica fondamentale: trascinando i punti la casetta cambia, non è più la stessa, si trasforma in infinite casette diverse. Cosa rimane allora del disegno iniziale? I punti e i segmenti, le forme. Ma i punti si spostano, i segmenti si allungano e si accorciano, le forme si modificano un po’.

Come comunicare questi cambiamenti?

Diventa importante costruire un linguaggio comune per spiegare che cosa è successo e in modo molto naturale si incominciano ad usare alcune parole della geometria che fanno anche parte del linguaggio comune, ma in questa fase sono puri nomi, dietro non ci sono ancora vere concettualizzazioni.

“Ho spostato questo punto e il tetto è diventato più alto.”

“La parete è diventata più lunga perché questa linea è come un elastico... ma ora non è più un rettangolo, ha una forma strana.”

“Però il mio tetto è sempre fatto da tre linee.”

Piano piano emergono anche i primi invarianti: i triangoli restano triangoli anche se allungo e accorcio i loro lati. Più difficile dire che cosa succede ai quadrilateri, anche perché questa parola non fa parte del vocabolario comune dei bambini. Si può dire che la parete aveva una forma rettangolare e che spostando un punto non è più tale. Ma forse non lo era nemmeno prima perché per ‘essere rettangolare’ doveva avere certe caratteristiche.

Il discorso delle forme si fa più complesso e nasce l’esigenza di definirle in base a tutte le loro caratteristiche. I tentativi che fanno i bambini con GeoGebra di ‘rettangolizzare’ i quadrilateri sono molto interessanti. Tutto è fatto ad occhio o, se qualcuno scopre lo strumento misura, misura i lati fino a trovare misure uguali dove devono esserlo.

Fatto questo, manca ancora l’angolo retto... per cui bisogna avere in mano la perpendicolarità come ulteriore concetto di base. Se inizialmente si usa la griglia quadrettata non esiste il problema, ma se la griglia scompare e il ‘rettangolo’ non è stato costruito come si deve, basta spostare un punto e la forma si perde.

La griglia offre perpendicolarità e parallelismo in automatico e quindi farebbe bypassare il problema. L’insegnante può sfruttare questo fatto per portare avanti, inizialmente fuori da GeoGebra, tornando quindi alla realtà, i discorsi su angolo retto e rette perpendicolari che sono naturalmente intrecciati.

Per arrivare a costruire veramente le forme i bambini devono possedere qualche concetto geometrico in più. Ma intanto abbiamo evidenziato un problema non da poco: disegnare non è costruire. E questo è il primo problema da affrontare anche con gli adulti che iniziano ad usare GeoGebra. Il test del trascinamento dei punti è uno strumento di controllo che i bambini devono imparare ad usare bene fin dall’inizio.

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