Per produrre cambiamenti nella scuola è necessario avere la carica, cioè un po’ di entusiasmo, per non dire passione, per il proprio lavoro. Purtroppo però alla prova dei fatti di solito non basta. Queste riflessioni sono scaturite dalla mia frequentazione dei gruppi su Facebook dove si discute sull’eliminazione dei voti numerici, cosa che mi trova assolutamente d’accordo. La campagna “Voti a perdere” che abbiamo rilanciato dal sito del Movimento di Cooperazione Educativa in concomitanza con il convegno “Non sono un voto” di Milano deve procedere ma rappresenta solo un primo inevitabile e indispensabile passo. Sappiamo tutti che non basta eliminare i voti. Bisogna contemporaneamente ricostruire la propria professionalità e le proprie competenze per essere insegnanti “efficaci” in una società in continuo mutamento.
I voti sono sicuramente un problema da affrontare ma non penso che questo sia “il problema”... ritrovarsi intorno a uno slogan aiuta a cercare uguaglianze di pensiero ma il duro lavoro di progettare e ri-progettare ogni giorno ciò che si deve proporre ai nostri alunni richiede non solo empatia e passione ma anche conoscenze disciplinari che, purtroppo, come sto sperimentando di persona in varie situazioni (dai corsi di formazione alle attività con studenti di scienze della formazione, fino alla frequentazione di gruppi su Facebook) non solo mancano in gran parte ma sono spesso ferme a ciò che ognuno ha imparato ai suoi tempi a scuola.... e sono pochi coloro che dicono che per migliorare la scuola bisogna partire dallo studio, dall’approfondire le nostre conoscenze come insegnanti, da adulti.
Condividiamo il “non mettere i voti” ma “come gestiamo la costruzione di conoscenza in classe” anche questo deve essere oggetto di riflessione.
I voti sono sicuramente un problema da affrontare ma non penso che questo sia “il problema”... ritrovarsi intorno a uno slogan aiuta a cercare uguaglianze di pensiero ma il duro lavoro di progettare e ri-progettare ogni giorno ciò che si deve proporre ai nostri alunni richiede non solo empatia e passione ma anche conoscenze disciplinari che, purtroppo, come sto sperimentando di persona in varie situazioni (dai corsi di formazione alle attività con studenti di scienze della formazione, fino alla frequentazione di gruppi su Facebook) non solo mancano in gran parte ma sono spesso ferme a ciò che ognuno ha imparato ai suoi tempi a scuola.... e sono pochi coloro che dicono che per migliorare la scuola bisogna partire dallo studio, dall’approfondire le nostre conoscenze come insegnanti, da adulti.
Condividiamo il “non mettere i voti” ma “come gestiamo la costruzione di conoscenza in classe” anche questo deve essere oggetto di riflessione.
Nel Movimento di Cooperazione Educativa si studia da tempo il problema della valutazione e tra le recenti esperienze di ricerca di strumenti alternativi ecco spuntare il semaforo. Anche nella mia esperienza come insegnante ricercatrice in matematica ho da tempo adottato questa tecnica, non per dare voti ma semplicemente per classificare le risposte degli allievi e ricavarne indicazioni utili per la ricerca in atto. Ad esempio l’anno scorso, abbiamo utilizzato questo sistema per le prove che abbiamo proposto sul tema molto complesso delle frazioni. Mentre decidevo il colore da attribuire alle risposte mi sono accorta che non era così semplice attribuirne uno al posto di un altro e che in ogni caso la scelta era del tutto soggettiva. Non facevo quasi mai questo lavoro da sola perché se ne discuteva con i colleghi e ci si accorgeva come le interpretazioni delle risposte fossero sempre condizionate dal personale punto di vista del sapere in gioco, dalle aspettative e dai sensi personali. Un lavoro quindi non facile ma in questo caso, essendo la valutazione utilizzata per scopi di ricerca, non mi sono posta problemi.
Le cose secondo me si complicano se lo stesso metodo si utilizza per comunicare ad allievi e famiglie i risultati ottenuti a scuola in tutte le discipline. Chi mi spiega come si fa a decidere di che colore è il semaforo di un bambino rispetto ad un obiettivo? Si decide a sentimento o si elaborano prima dei criteri? Penso ad esempio alle rubriche valutative che entrano nel merito degli obiettivi definiti per ogni percorso di apprendimento e che invece di 3 individuano 4 livelli definendo però per ciascuno di essi il tipo di prestazione attesa. La questione non è se un semaforo con 4 colori possa essere più o meno adeguato di uno a 3 colori, ma ciò su cui occorre una riflessione a mio avviso è su “come” attribuisco i colori, su che tipo di prestazione considero rossa, gialla o verde. Qui siamo tutti in difficoltà a cominciare da cosa scrivere a sinistra del semaforo.... Ma ciò che mi preme sottolineare é che dietro il raggiungimento di un obiettivo c’è un percorso didattico predisposto da un insegnante, percorso che riassume idee, conoscenze, capacità di questa persona... Mi capita ogni giorno nel mio lavoro di formatrice di incontrare insegnanti e di lavorare con loro sulla didattica: la difficoltà più grossa che incontro è far produrre una progettazione didattica coerente non solo con la disciplina ma anche con la situazione di partenza dei bambini. E farla mettere per scritto è quasi sempre un’impresa. Quindi mi chiedo: senza una progettazione didattica “pensata” come è possibile realizzare un insegnamento efficace? E in mancanza di un insegnamento efficace chi può dire se un bambino meriti veramente un rosso, un giallo o un verde?
Ciò che voglio dire è che la valutazione è solo il momento finale mentre ciò che serve veramente è un “percorso a ritroso” per cui se decidiamo di usare un semaforo, o qualsiasi altro sistema, dobbiamo contemporaneamente porci il problema del “prima”, del come abbiamo condotto i nostri allievi a costruire quelle conoscenze, a raggiungere quegli obiettivi che vogliamo valutare. Non si parte dalla fine... ma dall’inizio, da un semaforo che valuti noi insegnanti, la nostra capacità di costruire cultura con metodi e percorsi nuovi, che tengano conto dei bambini, della realtà in cui vivono, che li coinvolgano veramente perché i bambini hanno voglia di imparare e il “come” è ciò che fa amare o odiare la scuola.
Ognuno di noi deve sentirsi impegnato nel combattere l’ignoranza. Non dare più il voto ed essere più attenti alle individualità può rivoluzionare la scuola, ma può aiutare a combattere l’ignoranza? Senza far ricorso alle solite citazioni di Don Milani ecc. la sostanza è racchiusa nella parola “emancipazione”. Come si può produrre emancipazione senza combattere l’ignoranza, senza dare strumenti culturali reali?
Le cose secondo me si complicano se lo stesso metodo si utilizza per comunicare ad allievi e famiglie i risultati ottenuti a scuola in tutte le discipline. Chi mi spiega come si fa a decidere di che colore è il semaforo di un bambino rispetto ad un obiettivo? Si decide a sentimento o si elaborano prima dei criteri? Penso ad esempio alle rubriche valutative che entrano nel merito degli obiettivi definiti per ogni percorso di apprendimento e che invece di 3 individuano 4 livelli definendo però per ciascuno di essi il tipo di prestazione attesa. La questione non è se un semaforo con 4 colori possa essere più o meno adeguato di uno a 3 colori, ma ciò su cui occorre una riflessione a mio avviso è su “come” attribuisco i colori, su che tipo di prestazione considero rossa, gialla o verde. Qui siamo tutti in difficoltà a cominciare da cosa scrivere a sinistra del semaforo.... Ma ciò che mi preme sottolineare é che dietro il raggiungimento di un obiettivo c’è un percorso didattico predisposto da un insegnante, percorso che riassume idee, conoscenze, capacità di questa persona... Mi capita ogni giorno nel mio lavoro di formatrice di incontrare insegnanti e di lavorare con loro sulla didattica: la difficoltà più grossa che incontro è far produrre una progettazione didattica coerente non solo con la disciplina ma anche con la situazione di partenza dei bambini. E farla mettere per scritto è quasi sempre un’impresa. Quindi mi chiedo: senza una progettazione didattica “pensata” come è possibile realizzare un insegnamento efficace? E in mancanza di un insegnamento efficace chi può dire se un bambino meriti veramente un rosso, un giallo o un verde?
Ciò che voglio dire è che la valutazione è solo il momento finale mentre ciò che serve veramente è un “percorso a ritroso” per cui se decidiamo di usare un semaforo, o qualsiasi altro sistema, dobbiamo contemporaneamente porci il problema del “prima”, del come abbiamo condotto i nostri allievi a costruire quelle conoscenze, a raggiungere quegli obiettivi che vogliamo valutare. Non si parte dalla fine... ma dall’inizio, da un semaforo che valuti noi insegnanti, la nostra capacità di costruire cultura con metodi e percorsi nuovi, che tengano conto dei bambini, della realtà in cui vivono, che li coinvolgano veramente perché i bambini hanno voglia di imparare e il “come” è ciò che fa amare o odiare la scuola.
Ognuno di noi deve sentirsi impegnato nel combattere l’ignoranza. Non dare più il voto ed essere più attenti alle individualità può rivoluzionare la scuola, ma può aiutare a combattere l’ignoranza? Senza far ricorso alle solite citazioni di Don Milani ecc. la sostanza è racchiusa nella parola “emancipazione”. Come si può produrre emancipazione senza combattere l’ignoranza, senza dare strumenti culturali reali?
Se ci ritroviamo nel non dare più il voto cerchiamo anche di costruire un'alternativa reale rispetto a come si insegnano matematica, italiano, scienze, storia e geografia. Costruiamo una rete di insegnanti che si vogliono appropriare della conoscenza non solo di un “metodo”. Il nostro semaforo in questo momento è verde, giallo o rosso?
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